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Vincenzo Vela, La preghiera del mattino

«Ed eccoci davanti alla statua di Vela, stupenda opera, e forse, la più ardita novità che siasi tentato a’ nostri tempi nella scultura. Non è più il marmo che noi abbiamo davanti agli occhi, ma qualche cosa di palpitante e di vivo che illude con gli effetti abbaglianti del chiaroscuro. Per poco che la si stia riguardando, noi crederemo di veder sorgere quella leggiadra fanciulla, che prega genuflessa, noi la vedrem muovere le chinate palpebre, e animarsi d’una vita repentina. […] E veramente egli ha ottenuto con lo scalpello gli effetti quasi del colorito, e questa statua veduta dopo le altre, si spicca, per così dire dal luogo in cui si posa, e s’impone agli occhi e all’attenzione di chi osserva».

Bastano queste poche parole di Carlo Tenca (1846) per comprendere quanto La preghiera del mattino (Milano, Palazzo Morando) di Vincenzo Vela (1820 / 1891)  già dalla prima esposizione del 1846 a Brera, cui seguiranno quelle di Londra (1862) e Dublino (1865), abbia subito ottenuto grande attenzione e riconoscimenti dalla critica.

L’opera, un marmo di 135,5 x 59 x 72 cm preceduto dal gesso del Museo Vela di Ligornetto (Canton Ticino) e dal modelletto in creta datato 23 marzo 1846, era stata commissionata da Giulio Litta Visconti per tramite di Francesco Hayez. La sua destinazione iniziale fu la cripta nella chiesa di Santa Maria delle Selve all’interno della villa Litta, presso Vedano. Nel 1914 poi, la scultura giunse alle collezioni dell’Ospedale Maggiore (da cui oggi in prestito a Palazzo Morando), a seguito del lascito testamentario di Eugenia Litta Bolognini.

Committenza e scelta del soggetto

Aristocratico di idee liberali nonché grande collezionista d’arte, Giulio Litta diede nell’occasione assoluta libertà nello scegliere il soggetto al giovane Vincenzo Vela (Ligornetto, 1820-1891). Questa non scontata fiducia è, probabilmente, un elemento essenziale per il superlativo risultato finale e conseguente successo della scultura. Verso la metà del XIX secolo, infatti, andava creandosi quella che viene detta “scuola di Milano”, sostenuta da voraci collezionisti d’arte contemporanea come il Litta e che trovò proprio in Carlo Tenca un appassionato sostenitore. Costui seppe subito apprezzare le qualità della nuova generazione di scultori. Una generazione non più vincolata alle gerarchie accademiche né ai temi mitologici o al desiderio di raffigurare una bellezza ideale, ma piuttosto alla quotidianità. Sebbene, dunque, a metà Ottocento Milano fosse ancora dominata dal classicista Pompeo Marchesi, nel quarto decennio lo stile antiretorico di Alessandro Puttinati stava contemporaneamente preparando la strada agli artisti più giovani.

E così quel 1846 a Brera fu l’anno, per fare solo alcuni esempi: del Masaniello, un plebeo elevato a moderno eroe e dalla carica eversiva eseguito dallo stesso Puttinati; del commovente Ismaele scolpito dal romano Giovanni Strazza; delle Egle di Giovanni Pandiani, ispirate agli Idilli di Salomon Gessner (1730-1788), ossia a un testo letterario moderno anziché antico. Sempre Tenca riguardo questi cambiamenti affermava con indomito trasporto e sferzante vena polemica: «D’accanto alla vecchia scuola, la quale non riconosce altro bello fuorché quello degli antichi esemplari, un’altra se ne viene formando adesso, che cerca le sue inspirazioni nella verità e nella natura. Le insulse reminiscenze mitologiche cominciano a essere abbandonate, e v’è chi pensa che l’arte debba essere la personificazione ideale degli affetti, e dei pensieri della moltitudine».

Il ruolo di Giulio Litta

Tornando alla questione della committenza, alla luce di questi elementi è ora possibile capire meglio perché riteniamo tanto importante l’apertura di vedute di Giulio Litta. La possibilità concessa a Vincenzo Vela di esprimere senza restrizioni la sua visione artistica si è dimostrata tanto lungimirante, che La preghiera del mattino è ancora oggi ritenuto uno dei suoi massimi capolavori. Sempre Carlo Tenca rimarca un altro concetto chiave a nostro avviso, sia riguardo lo scultore italo-svizzero sia la scultura romantica in generale: «Egli ha compreso che la scultura, sebbene arte eminentemente plastica, è pur essa rappresentazione di concetti morali, a cui è subordinato il magistero della forma» aggiungendo «ma questa del Vela noi la amiamo, come si amano le cose semplici e grandi».

Analisi dell’opera

Addentrandoci nell’analisi dell’opera essa presenta una giovane ragazza, di una bellezza autentica che lascia senza fiato, inginocchiata su un cuscino e vestita di una camiciuola che scopre appena le spalle e giunge sino alle caviglie. La fanciulla si è chiaramente appena alzata e, letto il breviario (libro oggi sostituito dalla Liturgia delle Ore), chiuse le palpebre e congiunte le mani, si rivolge a Dio per un’intima preghiera. Siamo dinanzi a un istante di sincera e severa elevazione spirituale cui noi assistiamo estatici, in devoto e ammirato silenzio.

Le linee pure e morbide di Vela non si soffermano sui dettagli anatomici, poiché il corpo è quasi del tutto coperto e le curve dei fianchi, per esempio, sono appena accennate. In questo modo sono esaltati i passaggi chiaroscurali, che nel dolce e pudico viso della fanciulla raggiungono la massima bellezza e abilità tecnica. La coda di capelli abbandonata sul lato sinistro del collo, la croce appoggiata sull’ampio scollo della camiciuola, le pieghe di quest’ultima sono tutti particolari atti a dare la sensazione di naturalezza. Quasi se l’artista si fosse trovato dinanzi a quell’immagine inaspettatamente. La realtà, però, è ben diversa e Vela dimostra di saper adoperare espedienti differenti, al fine d’instaurare un rapporto empatico con l’osservatore.

I riferimenti per La preghiera del mattino di Vincenzo Vela

Ad ogni modo l’originalità del soggetto non significa assenza di punti di riferimento. Il primo ed illustre è La fiducia in Dio (1833) di Lorenzo Bartolini, autore del celebre Ammostatore, da cui Vela trae diretta ispirazione nel tentativo di dare forma, “carne” a un concetto astratto, rendendolo così universalmente comprensibile. Il secondo sono le di poco precedenti Malinconie di Francesco Hayez, da cui eredita «l’iconografia e la bellezza altrettanto morale» (S. Grandesso 2008) tantoché, come espresso dal contemporaneo Giuseppe Rovani, la statua di Vela «colmava il divario che si era venuto a creare tra pittura e scultura» (Ibid). L’intento dell’artista italo-svizzero in altre parole non era emulativo, quanto di dimostrare di avere le carte in regola per potersi candidare a guida del Romanticismo italiano, al fianco del grande e ammirato Hayez.

Interessante alla luce di questa forte impronta morale e della severa, eppur serena e fiduciosa religiosità incarnata dalla fanciulla, la lettura che ne fa Andrea Maffei in una sua poesia. In possesso di una piccola versione donatagli da Vela nel 1853, Maffei coglie un sentimento non ancora espresso, rimanendo colpito dalla sensualità della fanciulla. Questa caratteristica deriva proprio da quella sua purezza semplice e abbandonata e non dalla bellezza fisica, come detto in gran parte celata. In effetti Maffei coglie un aspetto maggiormente riscontrabile nella versione in gesso, dove l’accentuata sensualità deriva sia dalla qualità del materiale in sé, sia dalla maggior “freschezza” e libertà esecutiva rispetto al marmo.

Alcuni confronti conclusivi

A nostro avviso non vi è nulla di strano o contraddittorio in questo binomio sensualità-religiosità, e il pensiero corre rapido all’Estasi di san Francesco di Caravaggio e all’Estasi di Santa Teresa d’Avila di Lorenzo Bernini, dove è espressa l’enorme “carica passionale” che può scaturire dalla fede e dal legame con Dio, poiché frutto essenzialmente d’amore. Vela interpreta tale concetto certamente in modo personale, giungendo comunque a un risultato non dissimile, capace appunto di farci sentire partecipi di quel momento unico fatto d’intimità, raccoglimento, fermento spirituale.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

S. BIETOLETTI, Romanticismo; in G. FOSSI (a cura di), I grandi stili dell’arte, Firenze-Milano 2007, pp. 628-703 e 722.

S. GRANDESSO, La preghiera del mattino; in M. V. MARINI CLARELLI – F. MAZZOCCA – C. SISI, Ottocento da Canova a Quarto Stato, catalogo della mostra (Roma, Scuderie del Quirinale, 29 febbraio – 10 giugno 2008), Ginevra-Milano 2008, scheda n° 41, pp. 174-175.

E. LISSONI, La preghiera del Mattino; in F. MAZZOCCA (a cura di), Francesco Hayez, catalogo della mostra (Milano, Piazza Scala, 7 novembre 2015 – 21 febbraio 2016), Milano 2015, scheda n° 66, pp. 228-229.

M. V. MARINI CLARELLI – F. MAZZOCCA – C. SISI, Ottocento da Canova a Quarto Stato; catalogo della mostra (Roma, Scuderie del Quirinale, 29 febbraio – 10 giugno 2008), Ginevra-Milano 2008.

F. MAZZOCCA (a cura di), Francesco Hayez; catalogo della mostra (Milano, Piazza Scala, 7 novembre 2015 – 21 febbraio 2016), Milano 2015.

P. ROTONDI, La preghiera del mattino, statua di Vincenzo Vela; in Gemme d’Arti italiane, Venezia-Milano 1847, pp. 27-31.

C. TENCA, Esposizioni di Belle Arti nel Palazzo di Brera; in “Rivista Europea”, 1846, ora in C. TENCA, Scritti d’arte (1838-1859), ed. a cura di A. COTTIGNOLI, Bologna 1998, pp. 117-141.

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Vincenzo Vela, La preghiera del mattino, 1846. Milano, Palazzo Morando. Scultura, il caffè artistico di Lo
Vincenzo Vela, La preghiera del mattino, 1846, marmo, 135,5 x 59 x 72 cm. Milano, Palazzo Morando.
Vincenzo Vela, La preghiera del mattino, Scultura dell'Ottocento
Vincenzo Vela, La preghiera del mattino, 1846, marmo, 135,5 x 59 x 72 cm., part. Milano, Palazzo Morando.
Vincenzo Vela 1846

L’opera fu commissionata da Giulio Litta Visconti per tramite di Francesco Hayez, ed è preceduta dal gesso del Museo Vela di Ligornetto (Canton Ticino) e dal modelletto in creta del 1846.

ArtistaVincenzo VelaDatazione1846TecnicamarmoDimensioni135,5 x 59 x 72 cmFirmato"Vincenzo Vela F. 1846" (retro del basamento)CollocazioneMilano, Palazzo Morando.ProvenienzaChiesa di Santa Maria delle Selve, villa LittaShare

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