Il Marte Gradivo di Bartolomeo Ammannati
Sguardo severo e arcigno, fisico scultorio al limite del body-building, gesto perentorio del braccio e passo deciso, questa in breve potrebbe essere la descrizione del Marte gradivo di Bartolomeo Ammannati (Settignano 1511 / Firenze 1592) uno dei massimi protagonisti della scultura del secondo Cinquecento. Addentriamoci, però, meglio nell’opera, andando con ordine e partendo da alcuni dati biografici, per tentare di comprendere il valore di questo capolavoro.
La prima formazione di Bartolomeo Ammannati
Il percorso artistico di Bartolomeo Ammannati si caratterizza per un manierismo “inquieto e intellettuale”. Nato, probabilmente, in una famiglia «di artigiani della pietra» (Cherubini 2011), arte alla quale sarebbe stato, quindi, introdotto sin da piccolo (il condizionale è d’obbligo, mancando notizie sull’infanzia), Ammannati entrò presto nella bottega di Baccio Bandinelli. Ciò avvenne alla morte del padre nel 1523, quando era appena dodicenne, come raccontato da Filippo Baldinucci, una delle fonti principali sulla vita dell’Ammannati. Il Baldinucci scrive: «per campar sua vita, dovette ad alcuna professione applicarsi; e fra le molte a cui avevalo la natura ben disposto, piacendogli quella della scultura, si acconciò con Baccio Bandinelli, celebre scultore fiorentino».
Dopo questa fondamentale esperienza, il nostro scultore diverrà discepolo di Jacopo Sansovino, seguito prima a Venezia e, poi, a Padova. La formazione giovanile qui rapidamente descritta spiegherebbe i richiami ravvisabili nell’arte dell’Ammannati al “titanismo” di Michelangelo, le spinte apertamente anticlassiche di alcune opere, ma anche una certa delicatezza di matrice veneta.
Altro dato importante da riportare è l’amicizia che legò il nostro artista a Giorgio Vasari, il quale gli procurò importanti commissioni a Roma e Firenze. Lo stesso Vasari ricorda Ammannati all’interno della Vita di Iacopo Sansovino. Lo fa con queste affettuose parole, mentre ne cita l’attività in qualità di architetto: «Il medesimo Ammannato, come architetto, attende, con suo molto onore e lode, alla fabbrica de’ Pitti, nella quale opera ha grande occasione di mostrare virtù e grandezza dell’animo suo, e la magnificenza e grande animo del duca Cosimo. Direi molti particolari di questo scultore, ma perché mi è amico, et altri secondo che intendo scrive le cose sue, non dirò altro per non mettere mano a quello che da altri fie meglio, che io forse io non saprei raccontarlo».
Analisi del Marte gradivo di Bartolomeo Ammannati
Scultura di bronzo alta poco più di due metri, il Marte gradivo fu eseguito tra il 1559 e il 1560 e dal 1797 è custodito agli Uffizi di Firenze. Si tratta di un’opera superba per dimensioni, forza espressiva e capacità di comunicare l’incedere aggressivo del dio della guerra, pronto alla battaglia. Essa va inserita nel periodo in cui Vasari «lo condusse al servizio di sua eccellenza per cui molte statue di marmo e di bronzo, che ancora non sono in opera, lavorate».
Un’attribuzione complicata
Curioso che presto se ne sia persa l’autografia, tanto che Paolo Alessandro Maffei, primo a lasciare un commento critico nel 1704, lo ritenesse addirittura un bronzo di epoca classica. A lui, comunque, si deve non solo l’apprezzamento del valore artistico dell’opera, ritenuta «statua bellissima», ma anche il riconoscimento del soggetto: «mi sono lasciato volentieri indurre a supporla un Marte Gradivo, così detto a gradiendo in bello ultro, citroque […] perché certamente ella è stata […] figurata in attitudine […] di moto violento […]». Maffei dovette vedere la statua davanti alla loggia di Villa Medici a Roma, dove giunse nel corso del Seicento.
Sul finire sempre del Seicento l’opera fu raffigurata in un‘incisione (1691) di Giovan Francesco Venturini, con alcune integrazioni per spada e bastone, previste inizialmente, ma non presenti nell’immagine pubblicata dal Maffei e di cui non parla neppure un’altra fonte. Ci riferiamo al cardinale Ferdinando dei Medici, il quale, infatti, scrive «di una grande figura di bronzo al naturale detta gladiatore nudo, con […] in una mano i fornimenti da spada e nell’altra un pezzo di bastone, […] fatta dall’Ammannati». In altre parole, quelle aggiunte che andavano ad accrescere le dimensioni dei due attributi, furono fatte solo dopo l’arrivo del Marte gradivo a Roma.
Gli studi fondamentali di Friedrich Kriegbaum
Confusione attributiva sul Marte gradivo ci fu fino al Novecento e ai fondamentali studi di Friedrich Kriegbaum (1928). Pure Winckelmann (1779), nonostante ne avesse compresa l’origine cinquecentesca rispetto al Maffei, si sbagliò facendo il nome del Giambologna. Ad ogni modo, fu grazie alla scoperta di una nota di spesa, datata 1559, che Kriegbaum poté sciogliere ogni dubbio. In essa si parla «d’una forma di terra da gittare uno Marte di bronzo» da trasportare da casa dell’Ammannati alla fonderia della Sapienza. Inoltre, sempre lo storico dell’arte tedesco ebbe l’intuizione di associare questa scoperta al ricordo di Raffaello Borghini (1584), per il quale contemporaneamente all’Ercole e Anteo e all’Appennino, l’artista «aveva lavorato un Marte, una Venere, e due fanciulli tutti insieme di bronzo». Le date sembrano coincidere ugualmente con le diverse opere eseguite per Cosimo I e citate dal Vasari.
Cosimo I e il dio della guerra Marte
A questo punto del nostro percorso, ci rimane da concentrare le nostre attenzioni sul soggetto raffigurato dall’Ammannati. Prima di farlo, però, è necessario contestualizzare ulteriormente l’opera. Per farlo vogliamo aprire una breve parentesi sul Cosimo I (1545-1547) di Benvenuto Cellini, busto in bronzo custodito al Museo Nazionale del Bargello a Firenze. Cosimo I fu collezionista famelico, ansioso di trasmettere tramite l’arte un’immagine forte di sé e del Granducato da lui fondato. Quando Benvenuto Cellini, il quale vedeva proprio in Ammannati un rivale, poiché discepolo dell’odiato Baccio Bandinelli, ne eseguì il ritratto del Bargello, Cosimo I avrebbe desiderato, però, apparire come un “pacificatore”. Il busto di Cellini, invece, coerentemente con il carattere del granduca raffigura lo stesso come uomo determinato e “minaccioso”.
Chiusa la parentesi sono da scartare, dunque, le passate interpretazioni che nel Marte gradivo vedevano o un’allegoria del giovane Francesco dei Medici, o del noto condottiero Gian Luigi Vitelli detto Chiappino Vitelli. Al contrario, Cherubini (2011) a nostro avviso sottolinea correttamente l’associazione proprio tra Cosimo I e il dio guerriero e minaccioso per eccellenza, che incarnava i «valori di virtù e d’intelletto» posti dal granduca a fondamento del suo governo.
Non dimentichiamo infine, che lo stesso Cosimo I scelse proprio il capricorno tanto caro a Marte e segno zodiacale dell’imperatore Augusto, come suo emblema personale. Un segno inserito dall’Ammannati sotto il cimiero. Assieme a spada e bastone, il capricorno rappresenta uno dei soli tre attributi di Marte, per il resto rivestito di nulla se non della propria terribile forza.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE:
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B. PAOLOZZI STROZZI & D. ZIKOS (a cura di), L’acqua, la pietra, il fuoco. Bartolomeo Ammannati scultore; catalogo della mostra (Firenze, Museo Nazionale del Bargello, 11 maggio -18 settembre 2011), Firenze-Milano 2011.
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G. VASARI, Vita di Iacopo Sansovino; in G. VASARI, Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti, ed. integrale, Roma 2007, pp. 1311-1312.
Immagini: raccolta dell’autore.
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Bartolomeo Ammannati, Marte Gradivo, 1559-1560, bronzo, 215 cm, part. Firenze, Galleria degli Uffizi.