L’elmo di Deurne (Olanda)
Nella storia dell’archeologia le scoperte più sensazionali talora non sono frutto di lunghi scavi e approfondite ricerche per riportare in luce i luoghi e le testimonianze materiali delle civiltà antiche, ma di casuali e fortuiti ritrovamenti. Per di più spesso ad opera di persone comuni, non specializzate, che si ritrovano tra le mani tesori inestimabili mentre svolgono le proprie attività. Uno dei casi più eclatanti del secolo scorso è di certo quello con protagonista l’Elmo di Deurne.
Il prezioso manufatto qui in oggetto fu scoperto nel 1910 da un operaio, mentre lavorava per estrarre la torba in un campo vicino all’omonima cittadina dei Paesi Bassi meridionali. Quello di Deurne, tra l’altro, è stato un ritrovamento importante non solo per l’elmo, ancora in ottime condizioni. Accanto ad esso, infatti, c’erano numerosi altri oggetti: uno sperone, una fibula, quattro scarpe, resti in argento di un fodero di spada, vari brandelli di cuoio e tessuti e ben trentanove folles di età costantiniana (il più recente risale al 319 d.C.).
Tutti questi reperti hanno dato adito in passato a ipotesi romanzate e fantasiose. La storia in fondo è piena di re e artisti morti a seguito d’incidenti a cavallo. Secondo alcune di queste ipotesi il celebre elmo era appartenuto a un ufficiale di cavalleria romano annegato nelle paludi, nonostante i tentativi di soccorso di alcuni commilitoni. Tali congetture – secondo i loro fautori – sarebbero state suffragate, per esempio, dal ritrovamento delle sopra citate scarpe. La verità è però ben più semplice, ma non per questo meno affascinante come vedremo.
Caratteristiche dell’elmo di Deurne
Andiamo allora con ordine e cerchiamo di vedere cosa realmente ci racconta questo splendido manufatto. Innanzitutto, è un copricapo di pregevole fattura in argento dorato, originariamente con una parte interna in ferro. All’esterno l’elmo si presenta in placche fissate tra loro da chiodini, con para-naso a “T” rovesciata e decorazioni simili a “ancore”. Esso mostra, inoltre, due iscrizioni ancora leggibili e per noi fondamentali. Nella prima troviamo riferimenti alla VI Stablesia, ossia la sesta divisione degli equites stablesiani, un’unità di cavalleria d’élite. La seconda, invece, recita “M. TITUS LVNAMIS LIBRI I-L” che, come rilevato da Halbertsma (2008), con ogni probabilità sono il nome del fabbricante, un certo Marcus Titus Lunamis e la quantità di argento adoperata (un’oncia e mezza). Si può ragionevolmente ritenere Marcus Titus Lunamis facesse parte dei barbaricarii, i quali lavoravano nelle officine militari e si occupavano della lavorazione a foglia d’oro.
Tornando agli altri reperti trovati nel 1910, alcuni sono da ritenersi parte del fodero semicircolare, dentro il quale i soldati romani erano soliti tenere l’elmo durante le marce.
I pezzi di cuoio sono riconducibili, invece, a quelli rettangolari (di norma attorno i 230 x 240 cm) utilizzati sempre dalle truppe imperiali, per trasportare gli armamenti e come tende monoposto.
Da questi dati si può già dedurre che l’elmo non era indossato da nessuno quando cadde nella palude. Non sappiamo se ciò avvenne accidentalmente o in legame a qualche rito particolare giacché, specie tra le tribù germaniche, alcune usanze religiose del tempo prevedevano di lasciare le proprie armi nell’acqua. In altre parole, il nostro soldato di cavalleria poteva forse essere un Germano (R. B. Halbertsma 2008), che a termine dei ventiquattro anni di servizio nell’esercito romano lasciò i propri armamenti nella palude, in segno di ringraziamento agli dei per la sua lunga carriera.
Un’epoca di sconvolgimenti
Tra III e IV secolo d.C. sia l’eques sia il pedes romano subì enormi cambiamenti. Ciò vale tanto negli organici quanto nelle fogge, le quali mutarono molto rispetto a quelle canoniche cui siamo abituati, specie se pensiamo alle invincibili armate di Giulio Cesare. Le radici di tali cambiamenti sono da ricercare nel III secolo d.C. Questo fu un periodo terribile sotto tutti gli aspetti a causa delle ripetute lotte intestine, degli imperatori che continuavano a susseguirsi (all’epoca duravano anche solo pochi giorni), dei militari che dettavano legge. Senza dimenticare, poi, le popolazioni barbariche sempre più aggressive e difficili da contenere fuori dal Limes.
Proprio la pressione sui confini dell’Impero romani fece crescere in modo esponenziale il numero di foederati, in altre parole di truppe arruolate tra i barbari come unità ausiliari di fanteria leggera e cavalleria d’élite. Quest’ultima in particolare era necessario reclutarla tra popoli alleati o assoggettati, perché per tradizione le legioni romane si basavano sulla fanteria pesante. Tale tradizione inizierà ad essere superata a partire dal IV secolo, soprattutto nella parte orientale dell’Impero.
I cambiamenti sull’armamentario militare
L’uso di foederati ebbe, dunque, ripercussioni su armamenti e vestiario cosicché, ad esempio, il celebre gladio un po’ alla volta cadde in disuso e si diffuse un’infinità di elmi diversi, tra i quali si annovera il nostro, di tipo sassanide e dalla forma curvilinea aderente al capo. Per la precisione tale tipologia di elmo fu introdotta sotto l’imperatore Costantino e dal nome si evince facilmente la provenienza dalla Persia, nemico storico di Roma e famosa per le proprie unità di cavalleria pesante. Gli elmi non soltanto svolgevano un ruolo fondamentale di protezione della testa da botte e contusioni. Essi, difatti, erano utili anche a intimorire gli avversari in battaglia (specie se arricchiti con piume o altri inserti animali), a mostrare il proprio rango (si pensi a quello da cerimonia di Novi Sad), a preservare i propri costumi o a dimostrare, al contrario, la vastità e forza dell’Impero.
A conti fatti, però, quest’oggetto prova l’indebolimento di un esercito sempre più bisognoso di truppe straniere. L’Elmo di Deurne, perciò, è una preziosa testimonianza dei radicali cambiamenti avvenuti anche in campo militare nel Tardo Impero, con tutte le loro conseguenze. Dopo il suo ritrovamento, l’elmo fu presto acquistato dal Museo nazionale dell’antichità di Leida e accuratamente restaurato. Oggi ha perso quasi tutte le sue funzioni, ma rimane uno splendido esempio di come anche in ambito militare ci fossero maestri artigiani capaci di creare oggetti d’indubitabile bellezza.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
J.-J. AILLAGON (a cura di), Roma e i barbari. La nascita di un nuovo mondo; catalogo della mostra (Venezia, Palazzo Grassi, 26 gennaio – 20 luglio 2008), Ginevra-Milano 2008.
R. B. HALBERTSMA, L’elmo di Deurne; in J.-J. AILLAGON (a cura di), Roma e i barbari. La nascita di un nuovo mondo, catalogo della mostra (Venezia, Palazzo Grassi, 26 gennaio – 20 luglio 2008), Ginevra-Milano 2008, scheda n° II.14, pp. 200-201.
M. LUCCHETTI & L. S. CRISTINI, L’esercito romano da Romolo a re Artù. Vol. 3: da Caracalla a Re Artù, inizio III, fine IV sec. d.C.; collana Soldiers&Weapons, n° 012, Rodengo Saiano (Bs) 2012.
G. SENA CHIESA, Tardo impero. Arte romana al tempo di Costantino; Art & Dossier n° 295, Firenze-Milano 2013.
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Immagini: @Rijksmuseum van Oudheden
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Elmo sasanide di Deurne, ante 320 d.C., argento dorato e ferro, altezza 28,5 cm, diametro 20 cm. Leida, Rijksmuseum van Oudheden.