Skip to content Skip to sidebar Skip to footer

Una passione nata per caso

L’avvicinamento personale alla pittura di Hieronymus Bosch (Jeroen Anthoniszoon van Aken; ‘s-Hertogenbosch 1453 – 1516) fu piuttosto fortuito. Ormai all’ultimo anno della laurea magistrale tra fine 2010 e inizio 2011, alcuni compagni di studio mi segnalarono una contenuta ma interessante esposizione dedicata al celebre pittore olandese. In quel periodo, memori delle lezioni del triennio con il prof. Augusto Gentili, spesso critico verso le mostre con “troppa roba”, assieme agli amici di università si cercavano rassegne dedicate a poche opere. Questo per concentrare la massima attenzione su determinati pittori, dipinti e questioni iconologiche.

L’iniziativa in oggetto, intitolata Bosch a Palazzo Grimani, rientrava perfettamente in questa filosofia espositiva, di certo un po’ fuori dagli schemi più commerciali, nonostante il nome importante del curatore, Vittorio Sgarbi. La mostra era incentrata, infatti, esclusivamente sulle opere veneziane del maestro olandese. Esse sono le celebri: Visione dell’Aldilà (ali di un polittico, 1500 – 1503), Trittico di Santa Liberata (verso il 1505), Trittico degli Eremiti (1510 ca.).

Hieronymus Bosch a Palazzo Grimani

L’intento dell’iniziativa era di riunire finalmente i tre dipinti a Palazzo Grimani, proprio dove li ammirò nel 1521 Marcantonio Michiel. Noto soprattutto per il suo Notizia d’opere del disegno Michiel in quell’anno visitò la collezione del cardinale Domenico Grimani (1461-1523). Quest’ultimo fu una figura di altissimo livello culturale, capace di unire agli interessi spirituali e teologici, quelli per i testi classici, l’ebraismo e appunto il collezionismo. All’inizio del Cinquecento il cardinale Grimani aveva creato, difatti, una raccolta di qualità davvero eccelsa (donata alla morte, nel 1523, alla Serenissima). Essa comprendeva sculture classiche, tra cui originali greci, ed eccezionali dipinti di area fiamminga e tedesca.

La possibilità, dunque, di concentrarmi esclusivamente su tre opere ricchissime di dettagli, messaggi allegorici e insegnamenti dottrinali, fu l’inizio della passione per il maestro originario del Brabante olandese. Da allora tale interesse non si è mai spento. Non solo per l’indubbio fascino delle sue opere, giunte sino a noi in numero purtroppo molto ridotto, e per i legami con i pittori di ambito nord-italiano (Tiziano, Lorenzo Lotto, Bramantino, Dosso Dossi, Savoldo…), ma per la straordinaria modernità dei temi affrontati nell’arte di Bosch. Un’arte che sembra ancora colta solo in superficie dal grande pubblico e dagli esperti. Salvo qualche eccezione, tra le quali menzioniamo Jacques Combe (1957) e Mario Bussagli (1988).

Hieronymus Bosch, Trittico di Santa Liberata, verso il 1505.
Hieronymus Bosch, Trittico di Santa Liberata, verso il 1505, olio su tavola. Venezia, Museo Palazzo Grimani.

Un “artista da Wunderkammer”

Dopo questa introduzione personale, non priva di un filo di nostalgia, entriamo nel merito della presente riflessione. Quest’ultima verterà sulla percezione attualmente diffusa di Bosch, lasciando a futuri approfondimenti, già in preparazione, la disamina di alcuni suoi capolavori.

A distanza di oltre dieci anni, gli studi su Hieronymus Bosch hanno fatto indubbiamente importanti passi avanti. Ciò è vero soprattutto riguardo cinque filoni di indagine. In primo luogo, quello dell’influenza (quasi) sorprendente esercitata da Bosch sui pittori italiani, uno tra gli aspetti toccati anche nell’importante mostra da poco terminata a Milano, Bosch e un altro Rinascimento (Palazzo Reale, fino al 12 marzo 2023). Bosch probabilmente viaggiò pochissimo, e si mantenne sempre fedele a uno stile personalissimo, fuori dai canoni di armonia e bellezza del Rinascimento italiano.

Nonostante ciò, grazie alla circolazione di disegni, ai collezionisti e alla rete commerciale che univa l’Italia all’area fiamminga e olandese, il suo stile riuscì ad influenzare molti artisti italiani. Altri due temi di indagine nel recente passato sono stati, poi, il collezionismo italiano e quello spagnolo legato agli Asburgo, nonché il ruolo di collaboratori e bottega. Infine, vanno segnalate le scoperte sulla tecnica pittorica e, in minor misura, sulla cronologia delle opere (grazie, per esempio, alla dendrocronologia). Se da un lato, quindi, sono state messe a disposizione degli studiosi o semplici appassionati molte nuove informazioni, dall’altro resta la sensazione che il maestro brabantino sia relegato tuttora al ruolo di “artista da Wunderkammer”, bloccato su questioni di stile e committenza.

Hieronymus Bosch: un pittore tutt’ora frainteso?

Hieronymus Bosch fu un creatore impareggiabile di immagini oniriche e spaventose, perfette per attirare, stupire e sconvolgere anche il pubblico di oggi. A meno che non si compia lo sforzo intellettuale di addentrarsi nelle sue fonti culturali, il rischio è, a nostro avviso, di arrendersi all’idea di un «artista unico, facile da amare e difficile da comprendere».

Di contro, per quanto affascinanti e coraggiosi, pure gli studi dello storico dell’arte tedesco Wilhelm Fraenger riteniamo eccessivamente schiaccianti su un singolo fronte di indagine. Fraenger nel Novecento tenne banco con le proprie ardite interpretazioni iconologiche, secondo le quali Bosch sarebbe stato un eretico, legato alla setta del Libero Spirito e all’occultismo. Eppure, nessuna prova concreta è mai stata trovata a riguardo. Anzi, gli studi scientifici e alcune notizie più precise sulla vita del pittore, per le quali rimandiamo alla fondamentale monografia di Sthephan Fischer, hanno compromesso diverse interpretazioni di Fraenger.

Wilhelm Fraenger e le Nozze di Cana

Si pensi alle Nozze di Cana di Rotterdam (Museum Boijmans Van Beuningen). Forse una copia da un originale perduto di Bosch, la dendrocronologia lo data al 1550 ca., ossia molti anni dopo la morte dell’artista. Senza tralasciare i citati Combe e Bussagli, i quali per chi scrive hanno indicato le fonti più plausibili del pensiero di Bosch, ossia i movimenti rigoristi del XIV e XV sec. Ci si riferisce agli scritti del mistico Jan van Ruysbroeck, veicolati successivamente dal predicatore Geert Groote.

Certo, la pittura di Bosch per sua stessa cifra stilistica presta il fianco a tali fraintendimenti. Una pittura visionaria, suggestiva, a tratti allucinante, capace di recuperare e riformulare con successo repertori iconografici diffusi nel Medioevo e ormai decaduti nel Quattrocento. Una pittura che mette in scena figure e ambientazioni uniche, copiate, in seguito, da bottega ed epigoni più e più volte. Basti qui richiamare Il Giudizio universale di Bruges (1515 ca., Groeningemuseum) o la Tentazione di Sant’Antonio di Madrid (Museo del Prado, 1510 – 1515 ca.; in copertina) di mano appunto di bottega o di epigoni, cui sono attribuite un numero di opere più di dieci volte superiori a quelle assegnate al maestro.

“Continuerò a pensare che il segreto dei [suoi] magnifici incubi e delle sue visioni non sia ancora stato svelato. Finora abbiamo aperto alcuni spiragli nella porta di una stanza chiusa, ma a quanto pare la chiave per aprirla non è stata ancora trovata.”

 

Erwin Panofski, 1953

Le nozze di Cana

Artista anonimo, copia da Hieronymus Bosch (?), Le nozze di Cana, 1555-1561, olio su tavola. Rotterdam, Museum Boijmans Van Beuningen.

Un’epoca segnata da scoperte e spinte di rinnovamento sociale

Lo stile di Bosch, però, oltre ad essere frutto della sua formazione, creatività e sensibilità, fu alimentato dal gusto dei committenti e dal contesto sociale. Riguardo i committenti, costoro vedevano senza dubbio i suoi dipinti come uno spunto per facili conversazioni o, come si direbbe oggi, “per rompere il ghiaccio”, ma altresì per discussioni più profonde. Confronti che dobbiamo immaginare vivaci, in grado di coinvolgere le classi sociali più abbienti, ma anche larga parte della società del tempo tramite la predicazione nelle chiese e nelle piazze. In tal senso, il fatto che un intellettuale quale il cardinale Grimani possedesse ben tre opere di Bosch, dovrebbe già convincerci che i dipinti di Bosch non sono solo delle “bizzarrie”.

Il riguardo al contesto, poi, la società fiamminga e olandese al passaggio tra il Quattrocento e il Cinquecento fu attraversata da spinte innovative in vari ambiti. Furono anni segnati da nuove sorprendenti scoperte geografiche e di poco precedenti la Riforma protestante. Un periodo storico caratterizzato in nord-Europa da una forte espansione economica, e dal diffondersi di movimenti religiosi e pensatori non per forza eterodossi, i quali aspiravano convintamente ad un rinnovamento della Chiesa e a una maggiore moralità della società, sulla scia dei rigoristi del secolo precedente.

I riferimenti culturali di Hieronymus Bosch e il tema della follia

Arriviamo così a toccare due aspetti secondo noi fondamentali, per comprendere almeno in parte l’arte di Bosch, e aiutarci ad uscire da taluni stereotipi interpretativi. Il primo è la fedele appartenenza alla confraternita di Nostra Signora, dal 1486 ca. fino alla morte. Una confraternita composta da uomini e donne, sia laici sia religiosi, e dedita al culto di Maria Vergine e alle opere di carità. Una tale costanza lascia intuire che non si sia trattata di una semplice adesione di circostanza, ma la condivisione di valori religiosi e spirituali incentrati sulla carità, la prima delle virtù cristiane secondo san Paolo.

Brandt ed Erasmo da Rotterdam

Il secondo, poi, è la letteratura coeva, fonte da cui Bosch trasse soggetti di enorme successo. Su quest’ultimo punto basti ricordare Il vascello dei pazzi, poema satirico-didascalico pubblicato nel 1494 da Sebastian Brandt, tra i principali riferimenti dell’umanesimo cattolico tedesco. E, ancora, due testi di Erarmo da Rotterdam, ossia l’Elogio della follia (1511) e il Manuale del soldato cristiano (Enchiridion militis christiani, 1505). Nel primo testo Erasmo prosegue sulla scia di Brandt, ma interpretando la follia in modo completamente opposto.

Secondo Erasmo, infatti, la follia non è uno stato intellettuale e spirituale negativo, ma al contrario una forza vitale necessaria proprio a rinnovare positivamente la società tutta. Il secondo testo, invece, ci interessa poiché Erasmo vi distingue in modo chiaro «l’uomo interiore e l’uomo esteriore». Merita allora una citazione un passaggio di Erasmo già riportato da Sylver in una sua preziosa monografia dedicata a Bruegel: «Se credete a ciò che prende posto sull’altare ma non entrate nel suo significato spirituale, Dio desterà la vostra ostentazione senza rigore di religione […]. Porre tutta la religione nelle cerimonie esteriori è stupidaggine suprema».

Hieronymus Bosch, Trittico delle Tentazioni di sant’Antonio, 1500 ca. Lisbona, Museu Nacional de Arte Antiga.
Hieronymus Bosch, Trittico delle Tentazioni di sant’Antonio, 1500 ca. Lisbona, Museu Nacional de Arte Antiga. Foto di Paul Hermans, Wikipedia

Follia, caos e disordine in Hieronymus Bosch

Proprio la riflessione sulla follia, declinabile anche con i termini di caos e disordine è ciò che fa in modo preponderante da sfondo al pensiero di Bosch, certo ricco di altre innumerevoli sfaccettature, non tutte decodificabili oramai. Pur non disdegnando accenni ironici (alcuni personaggi non possono non strappare un sorriso) e grotteschi, riconducibili alla cultura popolare olandese, Bosch sembrava guardare con reale preoccupazione (per non dire pessimismo) al caos che attraversava il suo tempo. Un caos innanzitutto morale, alimentato dalla crescente ricchezza, la quale per definizione “allontana l’uomo dalla retta via” e lo conduce alla superbia, all’esteriorità più superficiale e mortifera.

La modernità dei soggetti di Bosch

Le figure stravaganti di Bosch, quindi, in primo luogo sono frutto della riflessione del pittore sulle conseguenze del ribaltamento della legge naturale e divina, tanto da apparire una critica ante-litteram a teorie come quella moderna del transumanesimo. Il transumanesimo, a grandi linee, teorizza la progressiva fusione tra uomo e tecnologia. Tali teorie pongono come necessario il cancellamento di qualsivoglia limite etico in fatto di ricerca scientifica e, in particolar modo, nella genetica e nell’uso delle cosiddette “intelligenze artificiali”. I transumanisti puntano, dunque, a potenziare all’infinito le capacità fisiche e cognitive dell’uomo tramite la tecnologia. Il fine ultimo sarebbe di liberare l’uomo da condizioni quali la sofferenza, la malattia e la vecchiaia.

Solo da queste brevi spunti, che potrebbero aprire a studi interdisciplinari di straordinario interesse, si ha ulteriore prova della modernità di Bosch. Qui ci limitiamo a una domanda un po’ provocatoria: era Bosch avanti nei tempi, oppure certe teorie all’apparenza nuove, in realtà sono vecchie quanto i vizi e le paure proprie dell’uomo, e rimarranno tali anche dopo eventuali upgrade? Di certo Bosch fu una figura capace di indagare temi esistenziali che toccano l’uomo di qualsiasi epoca: l’esistenza del male; il senso del limite; la giustizia; il libero arbitrio.

Una lotta sulla carta impari

In Bosch, il sovvertimento delle leggi naturali e divine diventa spesso una sfida, dalla quale persino i santi escono vincitori a fatica. Queste figure sulla carta “esemplari”, secondo una percezione tutt’oggi distorta, trattandosi pur sempre di esseri umani con i propri limiti e debolezze, appaiono piccole dinanzi le dirompenti forze maligne.

A riprova di ciò, si osservi il Trittico delle Tentazioni di sant’Antonio (1500 ca., Lisbona, Museu Nacional de Arte Antiga). Qui, nel pannello centrale, il santo è letteralmente circondato dai propri demoni. Eppure, Antonio guarda verso di noi prima di rivolgersi nuovamente al crocifisso posto all’interno della torre diroccata. Un crocifisso miniaturistico, che scorgiamo quasi a fatica, se non fosse per la sua luminosità. Tale espediente iconografico, che ancora una volta rivela le qualità tecniche e coloristiche di Bosch, in definitiva sottende un messaggio preciso. Per quanto il male possa apparire preponderante, la luce di Cristo rimane accesa, per guidare soprattutto nei momenti più bui il santo come il semplice fedele. 

Dal disordine la bruttezza: il Cristo portacroce di Gand

Ancor più esplicativo di quanto il Bosch fosse per certi versi ossessionato dal tema del disordine morale, a nostro è il dibattuto Cristo portacroce di Gand (1515 – 1520, Museum voor Schone Kunsten). Sebbene il dipinto sia riferito da alcuni studiosi a un generico collaboratore o epigono di Bosch, la sua valenza all’interno della nostra analisi non ne esce, ad ogni modo, sminuita. Anche se la paternità del Cristo portacroce non fosse da riferire a Bosch, difatti, tale pittore si dimostra molto vicino alla sensibilità del maestro, e capace di farne proprie le riflessioni in uno stile che, in effetti, sembra discostarsene come rilevato da Fischer (2016).

Il soggetto certo non consente raffigurazioni di mostri e bizzarrie, ma tocca di nuovo il tema del disordine morale. Qui lo fa attraverso la fisiognomica, la quale sostituisce adeguatamente il linguaggio allegorico-alchemico. In mezzo a volti imbruttiti dal male, un Gesù di sublime delicatezza e bellezza si staglia luminoso. Una piccola luce sulla quale finisce per concentrarsi il nostro sguardo. Un monito rivolto ai propri contemporanei, ma valido anche per noi: il degrado dei valori morali ci può trasformare nell’aspetto esteriore, spingendoci a macchiarci di crimini ed ingiustizie.

Quello di Bosch, così come quello di Cranach o Grünewald, correttamente è definito un “altro Rinascimento” rispetto quello “classico”. Rimane, però, un Rinascimento legato inscindibilmente a quello italiano per mezzo della comune cultura cristiana. Un Rinascimento dove, come nel Cristo portacroce, non è assente la ricerca di bellezza e armonia.

“Di cosa sognava Bosch? Della Passione di Cristo, del male, della stupidità dei soldati, della vanità e caducità del mondo terreno, dell’inferno con i suoi strumenti di tortura, della tentazione, alla quale anche i santi riuscivano a stento a resistere.”


Max Jacob Friedländer, 1941

Cristo portacroce

Epigono di Hieronymus Bosch (?), Cristo portacroce, 1515-1520 circa, olio su tavola. Gand, Museum voor Schone Kunsten.

Una strada ancora tutta da percorrere

In conclusione, Bosch era molto apprezzato da collezionisti come il citato cardinal Grimani o gli Asburgo di Spagna, perché le sue opere attiravano subito l’attenzione, destando stupore nell’osservatore e permettendo così di avviare discussioni di varia natura a partire anche da una sola opera. Se ci si ferma, ad ogni modo, solo all’elemento fantastico, si perde tutto il sapere celato nelle opere di Bosch, dove teologia, morale, storia, alchimia si mescolano e intersecano in modo da creare stratificati spunti di riflessione: in base al committente, al pubblico e al luogo in cui l’opera era esposta. Se si superasse tale limite, scopriremmo più che un altro Rinascimento, un altro Bosch, capace di interrogarci su temi che rimangono attuali.

Il nostro auspicio, allora, riguardo la recente mostra di Palazzo Reale a Milano, che tra i curatori presentava Bernard Aikema (da noi più volte apprezzato in passato per la serietà e capacità divulgativa) e quelle future, è di aprire finalmente l’analisi alla scoperta dell’altro Bosch, di là dell’immagine fantastica.

 

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

B. AIKEMA & F. CHECA CREMADES, Bosch e un altro Rinascimento; catalogo della mostra (Milano, Palazzo Reale e Castello Sforzesco, 9 settembre 2022 – 12 marzo 2023), Milano 2022.

D. BATTILOTTI, Bosch; Firenze 1996.

D. BIANCO, Bruegel; collana Vita d’artista, Firenze-Milano 2007.

M. BUSSAGLI, Bosch; Art & Dossier n° 21, Firenze 1988.

M. CALVESI, Arte e alchimia; Art & Dossier n° 4, Firenze – Milano 1986, pp. 32-33.

J. COMBE, Jérôme Bosch; Paris-London 1957.

S. FISCHER, Hieronymus Bosch. L’opera completa; ed. italiana, Köln 2016.

W. FRAENGER, Hieronymus Bosch: Le nozze di Cana; Milano 2007.

A. GENTILI, Da Tiziano a Tiziano. Mito e allegoria nella cultura veneziana del Cinquecento; Roma 1988.

ERASMO, Elogio della Follia; 1511, ed. a cura di A. CORBELLA ORTALLI, Firenze 2006.

M. A. MICHIEL, Notizia d’opere del disegno; ed. a cura di T. FRIMMEL, Vienna 1896, ristampa anastatica, Firenze 2000, p. 56.

M. SANTACCATERINA, Bosch a Milano. Creature di straordinaria follia; in Art & Dossier n° 406, rivista, Firenze-Milano 2023, pp. 68-73.

V. SGARBI, Bosch a Palazzo Grimani; catalogo della mostra (Venezia, Palazzo Grimani, 19 dicembre 2010 – 20 marzo 2011), Ginevra-Milano 2010.

L. SILVER, Bruegel; Firenze-Milano 2019, p. 245.

Immagini: @Wikipedia

© Riproduzione dei testi riservata

Condividi un commento

ABBONAMENTO
Modalità di pagamento de Il caffè artistico di Lo

IL CAFFÈ ARTISTICO DI LO © 2023. TUTTI I DIRITTI RISERVATI.

IL CAFFÈ ARTISTICO DI LO 
© 2023. TUTTI I DIRITTI RISERVATI.